
A Villa La Selva si arriva attraverso un lungo viale alberato, ma prima la vedi dalla strada, così imponente ed elegante. E più sali sulla collina e più aumenta lo stupore ammirato, quasi infantile, simile a quello di un bambino mentre entra nel paese delle meraviglie. Eppure la magnificenza del luogo e della dimora non incute timore o soggezione, tutt’altro: perché si avverte una sorta di armonia naturale, di serena quiete che solo dopo, appena sei nell’epicentro dell’azienda, riesci a capire. A chiarire la sensazione è la vulcanica Maria Paoletti Masini, squisita padrona di casa: personalità da vendere, charme a gogò, innato e mai ostentato.
È lei, infatti, che con la sua arte affabulatoria racconta l’anima biodinamica dell’azienda, un magnifico microcosmo voluto da suo figlio Cosimo, piccolo mondo antico che vive in totale ossequio della natura, pacatamente disteso su un poggio, tra i più belli delle colline di San Miniato, antico borgo del distretto pisano.
Così vieni a sapere che un tempo questo posto incantato era proprietà della famiglia Buonaparte passato poi alla metà dell’800 nelle mani del Marchese Cosimo Ridolfi, che costruì la cantina, ancora oggi usata per produrre sette etichette secondo i dettami dell’agricoltura ripensata da Rudolf Steiner alla fine del XIX secolo.
Un metodo di coltivazione basato su una visione antroposofica del mondo elaborata da questo filosofo austriaco per la produzione agricola, nel pieno rispetto della terra, delle sue fasi lunari e vitali.
Un’idea da subito adottata dalla Cosimo Maria Masini e messa in pratica con un atto agricolo consapevole: dal 2000, infatti, è stata applicata fedelmente alla distesa di 40 ettari coltivati a vigneti, uliveti e seminativi, una sorta di corona che cinge tutt’intorno la villa.
Dei vini prodotti – quattro rossi, due bianchi e un vinsanto – il Daphné 2014 è una delle esemplificazioni della passione biodinamica che anima l’azienda, riflessa in un bianco Igt toscano intitolato alla mitica ninfa, conquistatrice del cuore di Apollo nonché sacerdotessa della Madre Terra. Un nome decisamente calzante al frutto delle uve di Trebbiano toscano e Malvasia bianca, due autoctoni che si esprimono al meglio allignati come sono su una lieve collina argillosa, alta un centinaio di metri e ricca di fossili marini. Raccolti a mano, i grappoli vengono diraspati e poi si passa a una macerazione sulle bucce in vasche aperte a temperatura ambiente che oscilla tra i 4 e i 5 giorni; quindi, si avvia la fermentazione supportata da lieviti indigeni in piccoli contenitori aperti da 10 ettolitri. L’affinamento è poi affare di tonneaux e barrique di rovere, contenitori in cui rimane per circa un anno arricchendosi di gusto e aromi, intrecciati nel bicchiere in una perfetta armonia avviata già in vigna con i sovesci e il compost, che attraverso l’humus tirano fuori l’anima del territorio.

Come il nome che porta, è un vino che innamora l’occhio con il suo dorato carico e l’olfatto fitto di fiori chiari ed erbe; in bocca risalta la sua appena accennata tannicità, oltre che la verve minerale e una spiccata sapidità. Molto vicino ai rossi per struttura, il Daphné accompagna divinamente un cremoso risotto al Montasio e uno spezzatino di cervo in umido, su cui suona a manetta l’alternative rock Spring/Sun/ Winter /Dread degli Everything Everything. Costa 19 € in cantina. E li vale tutti.
Clara Ippolito