
Risalgono al ‘600 le origini dell’Uvalino, un vitigno che all’epoca prosperava sulle colline torinesi e nell’astigiano: i suoi grappoli, portati a una maturazione spinta, venivano vendemmiati proprio nel momento in cui gli uccellini amavano cibarsene di più. Perciò si chiama così. A un certo punto, però, era quasi scomparso, ma per fortuna Mariuccia Borio, produttrice di buona volontà della Cascina Castlèt, lo ha salvato dall’oblio.
“L’Uvalino ha sempre fatto parte della mia vita” racconta. “Ricordo che, dopo un periodo di appassimento, veniva utilizzato per migliorare altri vini ma, talvolta, si vinificava in purezza, diventando la bottiglia delle grandi occasioni”.
È merito, dunque, di questa donna tenace se l’Uvalino non si è perduto, dato che già negli anni ’80 cercava di trovare un modo di recuperare questo vitigno antico e raro.
Nel 1990 Mariuccia inizia a pensare a una seria ricerca in vigna, condotta da un accademico dell’Istituto di Viticoltura di Asti e alcuni enologi del luogo: nel ‘92 pianta il primo filare, nel 95’ fa la prima vendemmia, nel 2009 commercializza la prima annata (il 2006). “L’iter di salvataggio è stato lungo, anche burocraticamente parlando, però ha pagato in termini di soddisfazioni nel bicchiere, dove si apprezza al meglio dopo qualche anno di età”, sottolinea la produttrice.
Ricchissimo di resveratrolo – ne ha il 30-40% in più rispetto agli altri vini rossi conosciuti, non solo italiani – a oggi sono circa cinquemila le bottiglie ottenute da questo vitigno, le cui uve sono raccolte in piccole cassette, dove appassiscono per un po’ di tempo. La vinificazione prevede una macerazione di tre settimane e una fermentazione malolattica, dopo di che l’Uceline matura un anno in botticelle da 500 litri di rovere. Una volta imbottigliato, affina per dodici mesi prima di essere consumato.

L’annata in commercio, il 2011, si mostra di un bel porpora intenso, profumato di frutta rossa matura e spezie dolci; in bocca è asciutto, caldo e ben equilibrato con dei bei tannini marcati che virano un tantino verso il dolce. I suoi oltre 14 gradi ne fanno un ottimo vino da meditazione, che è però perfetto anche con piatti di selvaggina di gran taglia come un civet di capriolo oppure con formaggi importanti quali un Asiago Stravecchio. Si serve intorno ai 18°C in un bicchiere a tulipano e va sorseggiato ascoltando So What di Miles Davis.
Clara Ippolito

