Può un ricordo avere un sapore? Naturalmente sì, come ci ha insegnato Marcel Proust, in Dalla Parte di Swann dove, attraverso un morbido dolcetto offertogli e inzuppato nel tè, racconta la potenza evocativa del cibo. Questa memoria involontaria (non voluta e quindi non ragionata), è perfettamente incarnata da questo celebre esempio “letterario” legato al gusto, di cui peraltro sono disseminate tante opera di famosi autori italiani e non. Ed è proprio il sapore agrodolce dei ricordi, come recita il sottotitolo, il motore delle pagine di Storie di una degustatrice astemia (di Maddalena Baldini, Trenta Editore, € 12,00, in libreria e online) un ossimoro, grammaticalmente parlando, che accosta due parole con significato in evidente contrasto.

Tutto è spiegato, però, dal fatto che l’autrice non è propriamente una degustatrice professionista, bensì un’innamorata dell’arte – pittura, scultura e architettura – imbattutasi nel corso del proprio lavoro in un diffuso e sapido racconto per immagini – dipinte, disegnate, scolpite – che l’hanno portata a riconoscere il cibo come filo conduttore della vita.
Da qui nascono i suoi racconti – da Pasta reale: un’opera di ingegneria culinaria a Il gusto sacro e profano dei maccheroni – frutto della memoria personale e familiare, che l’ha trasformata in una degustatrice di ricordi, capace di mettere nero su bianco le affabulazioni di zie e nonni, fatte sotto un albero, a tavola, a pranzo, a cena o a merenda, comunque tutte, in un modo o nell’altro, profumate di cibo. Ma, perché La Baldini si dichiara astemia? Semplicemente, perché lei non ha mai, come spiega, “assaggiato veramente, ma solo degustato”, assaporato tutto, insomma, attraverso i ricordi. E, chissà che, leggendo, ognuno di noi non si possa mettere in contatto con le proprie storie di vita e di tavola, andando alla ricerca dei sapori del tempo perduto.
Clara Ippolito
Credits Trenta Editore