Il nome è quello del celebre libro di Apuleio, cult della letteratura latina in cui regnano magia, incantesimi e sortilegi conditi abbondantemente di cibo, vino e ironia. Elementi narrativi di un testo conosciuto anche come le Metamorfosi cui si ispira il ristorante L’Asino d’Oro, un locale incastonato in una stradina di Grottaferrata, celebre borgo dei Colli Romani. Qui il patron Martino Centioni, come il curiosus Lucio, protagonista dell’opera, pratica l’arte culinaria, trasformando tante eccellenti materie prime in intriganti pietanze. Aperto nel 2004 come Vineria – sulle orme del nonno e ancor prima del bisnonno che portavano a Roma il vino con i carretti – gestisce insieme ai genitori un luogo frequentato dai cultori di Bacco; poi, nel 2012, forte anche della passione per l’enogastronomia trasmessagli dalle adolescenziali villeggiature oltre che dall’imprinting gastronomico locale, lo rileva facendone il mestiere della vita.

Formazione da cuoco acquisita frequentando dei corsi di A tavola con lo chef, nota scuola professionale capitolina, si muove tra i fornelli con dimestichezza finché capisce che la sua vocazione culinaria non si esaurisce tra i fuochi ma sconfina anche in sala. Spazio che gli permette di interagire con gli ospiti, intessendo conversazioni sui piatti proposti, frutto della sua filosofia culinaria: un eclettico modo di intendere la cucina evolutosi nel tempo, per arrivare a un menu che oggi mescola sapientemente il suo DNA castellano, le radici orientali della mamma italo-libanese, ma anche le influenze di alcune cuoche forestiere approdate nel suo locale. “Amo la cucina libanese non solo per motivi affettivi, ma anche perché si tratta di sapori semplici e allo stesso tempo ricchi”, racconta Martino, grande cultore anche dello street food. Predilezioni incarnate dal suo Humus di ceci con pinzimonio di verdure e dal Mistik Pork, uno Spiedino di maiale con Rub home made (insieme di spezie che va ben strofinato sulla carne prima di metterla in cottura), arricchito da una salsa agrodolce piccante.

Suggestioni di un antipasto e di un secondo di memoria levantina, cui fa eco tra le entrée il più rustico e opulento tagliere di salumi, capocollo e prosciutto di Norcia in primis, accompagnati da goduriose pizzette fritte, formaggi semi-freschi e pecorini stagionati del luogo. Nel capitolo primi piatti si distinguono La Pecorara, ovvero degli Scialatielli di farro con spezzatino di pecora, carne che Martino prende da un macellaio di fiducia. “La pecora è apprezzata da molti buongustai e ben si presta a ricette più decise come questa, in quanto esalta il gusto della pasta fatta con un cereale che per le sue proprietà è entrato a pieno diritto tra le farine che uso”. Non a caso anche la sua Amatriciana e la sua Gricia contemplano lo stesso tipo di pasta, entrambe impreziosite da un ottimo guanciale di Alatri. La “Ciccia” poi, come recita il menu per indicare i secondi piatti – solo di carne, perché il pesce qui non è di casa – giustappone il Marrakesh, cioè uno Stracotto di pecora speziato con cous cous, chiaro richiamo al tajine marocchino, a una Tagliata di Black Angus con senape fatta in casa. “Non offro il pesce perché non ho tempo di andare all’asta ittica di Anzio. Gli impegni familiari non me lo permettono più”, spiega. “Lo faccio solo quando propongo la Paella alla valenciana, un piatto cui sono molto legato e che servo nella tipica paellera, abbinandola alla musica di serate a tema in cui ospito tangueros o ballerini di flamenco”.


In ogni caso, fuori da ogni esotismo, volendo, si può optare per un Galletto della Valtellina reso assai particolar eda una salsa cocco e arachidi. “Uso il manzo polacco, che mi fornisce sempre la stessa macelleria di Frascati”, chiarisce ancora Martino. “Si tratta di una razza originaria della Polonia settentrionale, la Red Kowa, da cui deriva una costata per veri intenditori. Conosciuta come Scottona Pezzata del Mazury (la regione dei Mille Laghi), è un bovino che vive allo stato brado su prati verdissimi, ricchi di minerali e cereali, con un microclima perfetto e un regime alimentare sano e naturale, ulteriore motivo di pregio”. Il fatto che sia molto marezzata, vale a dire incisa da piccole e fitte infiltrazioni di grasso che con il calore si sciolgono, la rende ottimale per cotture alla piastra o sulla brace, modalità d’elezione nella cucina dell’Asino d’Oro, dove c’è Stefano Barbuto, cuoco partenopeo qui da un anno e mezzo, Dora fondamentale ausilio durante il fine settimana, e Davide che si muove con disinvoltura fra i fornelli e la sala. I contorni sono semplici e genuini, dalle verdure di campo locali alle insalate tenere degli orti castellani fino alle patate fritte tagliate a mano; la carta dei vini è prevalentemente regionale con qualche buona referenza nazionale. I dolci, infine, non sono tanti, perché le leccornie più fantasiose sono riservate al menu della bella stagione: ma qui, signori miei, siamo nel regno di Bacco e delle Ciambelline dei Castelli Romani. E quelle che arrivano in tavola sono davvero da urlo.
Clara Ippolito
Credits Martino Centioni – Yuri Spalletta