GIUSEPPE SIMIGLIANI, UN INGEGNERE LIQUORISTA

Giuseppe Simigliani all’interno di ĿAB
Giuseppe Simigliani all’interno di ĿAB

Classe 1984, ha nelle vene il sangue abruzzese del padre e quello friulano della madre. Cresciuto a Chieti, Giuseppe ha studiato ingegneria al Politecnico di Milano, poi ha girato l’Italia e mezza Europa per specializzarsi. Grande appassionato di vini e liquori da sempre (difatti è sommelier professionista), qualche tempo fa è stato fulminato sulla via della liquoristica tradizionale, sconfinando nelle impavide invenzioni di ĿAB, la sua Liquoreria Abruzzese.

Fare liquori buoni non è cosa da tutti. Come e quando nasce l’idea di ĿAB?
Era il 2013 ed ero appena tornato in Abruzzo dopo anni trascorsi all’estero e in altre città italiane per motivi di studio e lavoro. All’epoca notai che il ratafià che facevo in famiglia, a livello amatoriale, con le amarene coltivate dietro casa, riscuoteva un notevole successo, così mi venne l’idea di iniziare questo percorso da artigiano.

Quanto tempo hai impiegato a realizzare questo progetto?
Ci ho messo circa un anno e mezzo: ho iniziato, infatti, a lavorarci da novembre 2016 fino a che ho ottenuto l’ultima autorizzazione ad aprile 2017.

Le sei chicche della collezione ĿAB, Liquoreria Abruzzese
Le sei chicche della collezione ĿAB, Liquoreria Abruzzese

Hai avuto dei mentori?
Ho avuto come maestro mio padre, che mi ha insegnato tutti i segreti della ricetta autentica del ratafià abruzzese, ma ho imparato molto anche grazie all’associazione Il Veratro che coinvolge tutti gli appassionati di piante ed erbe aromatiche in Abruzzo. Insieme a loro sono stato più volte in montagna per osservare da vicino le piante nelle varie stagioni dell’anno, cosa che mi ha aiutato a capire tantissimo, per esempio, sulla radice di genziana. Per quanto riguarda i liquori “nuovi”, quelli sono tutti farina del mio sacco.

Il primo liquore prodotto non si scorda mai.
Ho iniziato con il Genzianotto, che mi regalò una grande gioia. Anche perché la prima infusione non si può davvero dimenticare, considerata la lunga attesa, la speranza che tutto fili liscio, i continui e ripetuti assaggi per testare l’evoluzione del prodotto, l’osservazione del cambiamento di colore, il sentore dei profumi. E che dire dell’imbottigliamento, dell’emozione della prima etichetta, del vedere il prodotto finito e pronto per andare sul mercato? Tutti motivi di grande orgoglio.

Le amarene usate nel ratafià Animanera di ĿAB
Le amarene usate nel ratafià Animanera di ĿAB

Fare liquori al 100% artigianali è una grande sfida, specie in un settore fortemente concorrenziale sul piano quantitativo. Chi è il consumatore ideale dei prodotti ĿAB?
Chi beve i miei liquori è un intenditore, l’appassionato che ritrova la sua stessa mania certosina di arrivare alla ricetta perfetta, ma anche il giovane curioso di assaggiare le nuove invenzioni liquoristiche. La reazione più frequente in chi assaggia il mio ratafià è, per esempio, l’esclamazione “sembra l’amarenata di mia nonna”. Questo mi riempie di soddisfazione, perché vuol dire che i miei liquori hanno il gusto autentico della tradizione.

Pranzo di Natale. Da sommelier quale sei, abbina due dei tuoi liquori, uno all’imprescindibile panettone e uno a un piatto salato della tradizione festiva abruzzese.
Azzarderei un connubio tra il Baccalà in pastella, tipico della cena della Vigilia, e Animarena, il nostro ratafià, in quanto l’untuosità è ben bilanciata dall’alcolicità e dal piacevole tannino. E per chiudere in bellezza un pasto così importante, con il panettone vedo bene il Genzianotto.

ĿAB in futuro.
L’avvenire è il “cactus”, un ratafià particolarmente pungente. Da gennaio comincerò le sperimentazioni sugli agrumi; poi ho raccolto la sfida di inventare un liquore con il peperone dolce di Altino (quello secco, tipico della Val di Sangro, Presidio Slow Food, ndr). Non sarà facile, ma le idee sono tante e la voglia di fare immensa.

Clara Ippolito

www.liquorilab.it

Credits: ĿAB – Erika Secondino

 

Autore: dicoppaedicoltello

È tutta colpa del Galateo di Giovanni della Casa, se poi sono diventata una giornalista enogastronomica. Quella tesi di laurea, infatti, mi fece da apripista. Mettiamoci pure, poi, che ho scritto parecchio sul linguaggio della tavola per la Treccani, che ho lavorato per il glorioso Paese Sera, per il Gambero Rosso, Horeca Magazine, Saporie.com, Julienne ed Excellence Magazine. E per non farmi mancare nulla sono stata anche caporedattore di Gusto Magazine e poi direttore di Torte. Insomma, per non farla troppo lunga è un po’ di tempo che parlo di cibo e di vino: da quattro anni anche sulle pagine del magazine italo-tedesco Buongiorno Italia e ora sul mio sito DiCoppa&DiColtello.

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