BIANCO BREG 2011. IL VINO SECONDO GRAVNER

Il Gravner Bianco Breg 2011
Il Gravner Bianco Breg 2011

Tra il 2011 e il 2012 Joško Gravner espianta tutti i vigneti da cui è stato ottenuto questo vino, motivo quello di dedicarsi unicamente alla coltivazione delle varietà autoctone Ribolla Gialla e Pignolo: una decisione drastica che preserva solo un appezzamento di circa due ettari.
Oggi di Bianco Breg 2011 ce ne sono solo 3000 bottiglie tra formato da 750 ml e magnum (per il 2012 scenderanno a 2000), frutto di un’ottima annata che ora arriva sul mercato, la penultima ad andare in commercio. Magistrale espressione di uve Sauvignon, Pinot Grigio, Chardonnay e Riesling Italico, i vigneti al momento sono ancora a riposo per diventare tra qualche anno un bosco che favorirà l’equilibrio dell’ecosistema.
“A mio parere”, dice Joško Gravner, “la 2011 è stata una delle migliori annate per i miei vini, in particolare per il Breg Bianco. Non solo bella da lavorare ma anche con un buon andamento climatico e un autunno asciutto, che ci ha permesso di arrivare a piena maturazione dell’uva e di vendemmiare molto avanti. Peraltro, credo fermamente che questo vino ci darà grandi soddisfazioni, nonostante quell’anno le uve non siano state attaccate dalla botrite”.

Il bicchiere secondo Gravner
Il bicchiere secondo Gravner

Un nome, Bianco Breg, da ricordare, che deriva da un vigneto, il Vinograd Breg, dove erano coltivate diverse varietà vinificate a parte rispetto agli altri, come fosse un Cru. Il nome fu cambiato in Bianco Gravner quando alle uve prodotte in questo vigneto vennero aggiunte varietà provenienti da altri appezzamenti, come lo Chardonnay e il Sauvignon.
Un cambiamento accolto in modo non molto positivo, perché recepito come un abbassamento della qualità del vino, anche se la realtà era ben diversa. L’anno successivo il passo indietro: la scelta di togliere il termine Vinograd per tornare a chiamarlo semplicemente Bianco Breg.

Tappi di Gravner
Tappi di Gravner

Fermentato con una lunga macerazione in anfore georgiane interrate, con lieviti indigeni e senza controllo della temperatura, dopo la svinatura e la torchiatura ritorna in anfora per altri 5 mesi prima di iniziare l’affinamento in grandi botti di rovere, dove rimane per sei anni. A chi lo berrà (16-18°C) l’ardua sentenza.

Clara Ippolito

www.gravner.it

Credits Studio Cru – A. Barsanti – M. Frullani

Autore: dicoppaedicoltello

È tutta colpa del Galateo di Giovanni della Casa, se poi sono diventata una giornalista enogastronomica. Quella tesi di laurea, infatti, mi fece da apripista. Mettiamoci pure, poi, che ho scritto parecchio sul linguaggio della tavola per la Treccani, che ho lavorato per il glorioso Paese Sera, per il Gambero Rosso, Horeca Magazine, Saporie.com, Julienne ed Excellence Magazine. E per non farmi mancare nulla sono stata anche caporedattore di Gusto Magazine e poi direttore di Torte. Insomma, per non farla troppo lunga è un po’ di tempo che parlo di cibo e di vino: da quattro anni anche sulle pagine del magazine italo-tedesco Buongiorno Italia e ora sul mio sito DiCoppa&DiColtello.

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