Chi dice pane dice casa, tradizione e famiglia. Soprattutto nel Bel Paese, dov’è un sapore quotidiano, immancabile su tutte le tavole con le sue circa 500 tipologie esistenti.
E se già prima dell’emergenza sanitaria, specie sui social, era stato tutto un fiorire di gente convertita all’arte bianca home made, durante la quarantena, molti hanno voluto sperimentare la panificazione, mettendo le mani in pasta per tentare una nuova e fragrante avventura casalinga.
In quest’intervista Angela Verdiani, una maestra del pane per caso, pugliese di nascita e triestina d’adozione, racconta com’è nata la sua passione, risalente già a qualche anno fa quando, in tempi ancora non sospetti, aveva deciso di usare un sapere ereditato da sua madre e sua zia.
Prima praticato in punta di piedi ma presto, e impensabilmente per lei, sarebbe diventato un vero e proprio trasporto. Che, messo in rete, si è trasformato in una gratificazione, dandole tante soddisfazioni insperate.

Il pane è l’alimento per antonomasia. Sapori, profumi e ricordi che ti riportano indietro nel tempo.
Mia nonna portava il pane a cuocere nel forno comune del mio paese, Alberobello. Quando lo si riprendeva ben cotto, il suo profumo invadeva tutto il nostro trullo: era qualcosa di così inebriante che mi pare ancora di avvertirlo. Non sono riuscita a replicarlo tal quale, anche se attraverso la gestione del lievito madre e le ottime farine macinate a pietra, meno raffinate, mi ci sono un po’ avvicinata.
Sei un’autodidatta, ma hai sicuramente dei modelli cui ti sei ispirata.
Il mio faro è stato il maestro panificatore Piergiorgio Giorilli (un’autorità in materia, insignito di onorificenze varie, dal 2016 membro dell’’EIB, Elite International Boulanger, ndr) con i suoi numerosi libri, dai quali ho imparato tantissimo. Ho appreso molto anche dalle ricette delle Sorelle Simili e da Oscar Pagani, che ho avuto l’onore di conoscere durante un Pasta Madre Day (un maxi-evento che si tiene in tutto il territorio nazionale in diverse località, ndr); è un maestro che ha sviluppato nel tempo la curiosità verso tecniche e materie prime diverse (pasta madre, farine locali e prodotti studiati in ogni particolare). A lui devo il fatto di avermi spiegato l’uso corretto del lievito di birra, a torto demonizzato perché impiegato spesso in dosi troppo elevate.

Come e quando questa tua passione per il pane è diventata condivisione?
Ho sempre nutrito quest’amore per il pane e per tutto quello che era lievitato, dai panzerotti pugliesi alle focacce fino alle pizze, must di casa mia. Li facevo spesso per gli amici che venivano a cena da me a Trieste, dove ho abitato dieci anni prima con i miei per poi, a vent’anni, tornarci e sposarmi con un triestino. Ricordo che mia madre una volta venne da me, ma non riusciva a mangiare il pane del fornaio locale; così, cominciammo insieme a creare una pasta madre e a fare il pane in casa.
Hai una pagina su Facebook, “Quelli delle mani in pasta … in allegria”. Quando nasce e perché si chiama così?
A un certo punto, cinque anni fa, iniziai a pensare di condividere quel che sapevo con i miei amici, ai quali regalavo un po’ del mio lievito madre, insegnando loro come usarlo. Prima ci incontravamo per fare le prove, poi creai un gruppo privato su Facebook di una quarantina di persone per confrontare i risultati (si chiama così perché bisogna mantenere viva la dimensione ludica). Quindi, più tardi, decisi di aprire anche ad altri (quando mi sentii pronta a rispondere adeguatamente alle domande delle persone): oggi siamo in 43.000. Per lo più sono donne, casalinghe, ma anche cultori della materia.

Negli anni hai avuto modo di tenere dei corsi e stabilire delle collaborazioni. Quali sono quelli che ti hanno dato più soddisfazione?
Sono stata invitata a tenere una conferenza e una dimostrazione sulla panificazione al NaturBio Festival di Arese, un’esperienza bellissima; poi sono stata nella Cucina di Babette a Sala Bolognese, anche in questo caso un privilegio visto che Silvia ospita grandi maestri. Poi ho fatto delle cose con l’associazione culturale I sapori che accarezzano il cuore e con La Cogarìe di Udine. Spesso sono stata ospite in casa delle mie fornarine iscritte al gruppo, infine ho tenuto un corso presso la prestigiosa azienda Cucine Baux di Taranto.
La materia prima per fare un buon pane è fondamentale.
È importante che la farina tenga le ore di lievitazione, quindi ci vuole un tipo 1, poco raffinata e macinata a pietra, perché il pane deve profumare di grano. Io uso quelle del Molino Petrucci di Trisungo (Ascoli Piceno) che hanno un ottimo rapporto qualità/prezzo.

Il lievito madre tradizionale e il li.co.li. Quali sono i vantaggi di quest’ultimo?
Intanto, il li.co.li. (lievito madre a coltura liquida) è più facile da gestire per chi non lo usa ogni giorno, dato che si mantiene attivo in frigorifero a 4°C per qualche tempo dopo il rinfresco: finché ha le bolle e profuma di latte o yogurt è al suo meglio. Il lievito madre solido, invece, è un po’ più complesso. Inoltre, di li.co.li dà un’esplosione inimmaginabile alla lievitazione. Lo scoprii anni fa e devo dire che fu una vera rivelazione. Molti personaggi illustri del settore lo hanno adottato e usato nelle loro ricette.
Quale pane non hai mai osato fare?
I pani incisi di José Pascual, maestro famoso per i suoi bellissimi decori, capolavori del gusto oltre che estetici; quella, però, che per me è proprio off limits è la Coppia Ferrarese.

Il tuo pane del cuore.
Prediligo il mio pane semplice fatto con la farina semi-integrale e ai cereali, che consumo tutti i giorni. È un pane ad alta idratazione (perché le farine usate assorbono molta acqua): cotto nel forno di casa nella pentola di ghisa si sfrutta il vapore sprigionato che lo fa esplodere.
Clara Ippolito
One thought