DIVA, QUANDO IL CAFFE’ VUOLE BENE ALL’AMBIENTE

In principio erano la tazzulella con gli amici al bar e la moka di casa. Poi le cose sono cambiate con l’avvento delle cialde e delle capsule. Ma, sulle prime, presi dall’entusiasmo della novità, non si era pensato all’impatto ambientale che avrebbero potuto avere. In seguito, pian piano, le aziende più “virtuose” si sono poste il problema. Tra queste, per esempio, Mokador, da oltre cinquant’anni sinonimo di caffè di alta qualità, un brand
che di recente ha aggiunto un nuovo tassello alla gamma della propria produzione con DIVA, un sistema esclusivo a capsule pensato e studiato per salvaguardare la natura.
A questo scopo tutta la filiera è stata ideata per contenere al minimo l’impatto ambientale: dalla riduzione della quantità di plastica contenuta nelle capsule fino alla completa differenziabilità di tutte le componenti del sistema, dal cartone d’imballo al sacchetto fino alle componenti della capsula..

La macchina e le capsule Diva di Mokador

Per la realizzare tutto questo DIVA Mokador si è dotata di un nuovo impianto, conforme ai requisiti dell’Industria 4.0, che prevede il degasaggio in silos del caffè subito dopo la macinatura e l’uso di un film protettivo sulla capsula che costituisce una barriera capace di mantenere tutte le caratteristiche del caffè nel tempo: garanzia di un espresso con corpo e crema ai massimi valori sensoriali.
Quattro le tipologie: Brigitte (delicato e fruttato (un monorigine biologico), Sophia (una miscela di Arabica e Robusta dalla quale si ottiene un caffè aromatico e vellutato), Grace (decaffeinato, leggero e aromatico) e Marilyn (pieno e corposo).
Il sistema prevede, inoltre, due nuove macchine studiate per le esigenze della famiglia e del segmento OCS (Office Coffe Service): D1 e D2 realizzate al 100% in Italia, hanno un design originale, una tecnologia avanzata e una resa unica per ogni tazzina di caffè.

Clara Ippolito

www.mokador.it

Credits Mokador

Autore: dicoppaedicoltello

È tutta colpa del Galateo di Giovanni della Casa, se poi sono diventata una giornalista enogastronomica. Quella tesi di laurea, infatti, mi fece da apripista. Mettiamoci pure, poi, che ho scritto parecchio sul linguaggio della tavola per la Treccani, che ho lavorato per il glorioso Paese Sera, per il Gambero Rosso, Horeca Magazine, Saporie.com, Julienne ed Excellence Magazine. E per non farmi mancare nulla sono stata anche caporedattore di Gusto Magazine e poi direttore di Torte. Insomma, per non farla troppo lunga è un po’ di tempo che parlo di cibo e di vino: da quattro anni anche sulle pagine del magazine italo-tedesco Buongiorno Italia e ora sul mio sito DiCoppa&DiColtello.

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