Laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie all’Università degli studi di Udine, dopo alcune esperienze di vendemmia in aziende vinicole italiane e straniere, Michele Ciani decide di tornare a casa. La sua prima vendemmia ad Aquila del Torre come responsabile della produzione risale al 2005; in seguito conosce la FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), entrandone a far parte. Quindi, si avvicina ad Agricoltura Vivente, associazione di divulgazione dell’agricoltura biodinamica, approfondendo il metodo pratico con la frequenza di vari corsi di formazione. In fermento spontaneo come i suoi vini, è instancabile paladino del proprio territorio e della sua straordinaria biodiversità.

Il primo vino assaggiato non si scorda mai.
Sono tante le bottiglie che mi hanno emozionato, ma quella che in passato mi ha davvero ammaliato mi aspettava in Alsazia. Ebbi, infatti, conclusi gli studi, la possibilità di organizzare il mio tirocinio curricolare da Domaine Zind- Humbrecht, dove assaggiai il Riesling Clos Saint Urbain Rangen de Thann 1999. Fu amore al primo sorso.
Dopo la laurea, Lei ha fatto esperienza in alcune aziende vinicole italiane e non solo. Che cosa le hanno insegnato?
L’esperienza più significativa è stata quella della vendemmia 2004 in Alsazia al fianco di Olivier Humbrecht. Per me è stata la prima occasione di comprendere come mettere in pratica l’agricoltura biodinamica; successivamente, sono entrato a far parte dell’associazione Agricoltura Vivente e la condivisione delle esperienze tra agricoltori biodinamici è stata illuminante. Le osservazioni di Alex Podolinsky (grande esperto di agricoltura biodinamica, scomparso pochi anni fa, ndr) e il suo approccio pragmatico alla biodinamica mi hanno fortemente motivato, portandomi ad approfondirne i metodi e a metterli in pratica.


Il nome Aquila del Torre ha un’origine storica?
Il nome della nostra azienda è legato alla posizione unica in cui si trova il podere, perché siamo “appollaiati” sulla collina proprio come delle aquile che guardano a valle, là dove scorre un piccolo corso d’acqua, il Torre. I nostri vigneti si trovano sulla collina più alta di Savorgnano e guardano a sud, verso la pianura friulana che arriva fino alla laguna. L’antico stemma della Patria del Friuli, peraltro, è proprio un’aquila araldica d’oro su campo azzurro.
Siete certificati bio dal 2013, ma Lei ha studiato anche l’agricoltura biodinamica. In che modo coniuga i due approcci?
La certificazione biologica attesta che le uve dei nostri vigneti e i vini Aquila del Torre sono prodotti secondo il regolamento UE 2018/848. Questo è l’aspetto formale, ma la realtà è che abbiamo ripensato la nostra azienda come un “organismo agricolo”, riconsiderando cioè il bosco che racchiude i vigneti, installando un apiario in prossimità della vigna e piantando alberi da frutto e ulivi. Naturalmente, la vigna condotta in regime biologico è più pronta ad accogliere l’influenza dell’agricoltura biodinamica, perché il suolo è più ricettivo a ricevere per esempio il preparato cornoletame. Ciò vuol dire che la materia prima vendemmiata nei nostri vigneti ha bisogno di meno input in cantina, dove il nostro lavoro si è semplificato grazie alle particolari attenzioni prestate in vigna, che ci permettono di produrre “in sottrazione”.

L’espressione “effetto Savorgnano” è Sua. Che cosa significa?
L’obiettivo principale di un vignaiolo artigianale è quello di esprimere il terroir nei vini prodotti. Coltiviamo i nostri vigneti in alta collina, vinifichiamo le nostre uve con i lieviti indigeni e sigilliamo il nostro lavoro in bottiglia nella cantina collocata tra le vigne. L’effetto del territorio di Savorgnano è semplicemente la conseguenza di tutto questo, cosa che si sente nel bicchiere.
Lei ha detto che in vigna bisogna avere un’attenzione simile a quella dell’orticoltore. In che senso?
All’interno di Agricoltura Vivente ci sono anche degli orticoltori che di solito sono quelli che sanno meglio cosa vuol dire rispetto per il terreno. Il vignaiolo di solito non ha questa particolare attenzione. In Friuli, poi, con l’elevata piovosità annuale, diventa molto importante capire il momento giusto per intervenire sul suolo, di modo da non vanificare il lavoro di anni. L’approccio degli orticoltori insegna molto in questo senso, come dimostra Fabio Miglio con cui collaboriamo per la lavorazione del suolo attraverso la trazione animale. Dai vari confronti con gli associati ho ricevuto una diversa chiave di lettura, che mi ha portato a migliorare la lavorazione dei nostri terreni di matrice flysch.
Come nasce l’idea di proporre i suoi vini in abbinamento a dei prodotti friulani di alta qualità da vendere on line sul Suo shop?
Con la pandemia abbiamo voluto incrementare la presenza dei nostri prodotti sul web; infatti, il nostro e-shop è stato sviluppato nei primi mesi del 2020, perché volevamo proporre una vera e propria esperienza di gusto friulano e biologico da portare a casa. Assieme ai prodotti di Luigi Faleschini, orticoltore e frutticoltore biologico friulano che produce conserve e sottoli, ma anche alle specialità alimentari Friulbios e ai formaggi dell’azienda agricola La Sisile, abbiamo ideato degli abbinamenti con i vini Aquila del Torre. Ora, a distanza di due anni, il progetto virerà verso esperienze da vivere presso la nostra cantina, sempre in sinergia con gli agricoltori biologici e biodinamici friulani citati.

Biologico, biodinamico e naturale riferiti al vino sono termini spesso confusi e usati come sinonimi. Qual è il Suo pensiero?
Il “movimento del vino naturale” è stata la più interessante rivoluzione del mondo enologico degli ultimi quarant’anni. Il fatto è che, come ha ampiamente scritto Sandro Sangiorgi (giornalista, scrittore ed enogastronomo italiano, fondatore della casa editrice Porthos Edizioni, ndr), “i produttori di vino incoraggiati dalla spontaneità a prescindere da tutto, hanno rinunciato all’anidride solforosa senza però la minima competenza e consapevolezza di cosa accade tra la vigna e la cantina e durante la fermentazione”. In ogni caso, a mio avviso, non si può ridurre il vino naturale a una semplice definizione, dato che si tratta di un insieme di persone, di filosofie, di località, di paesaggi e di tecniche che ambiscono a trasferire in una bottiglia di vino un’autentica esperienza di identità territoriale. Parlare di vino biodinamico, dunque, è un errore semantico, perché l’agricoltura applicata in vigneto può seguire il metodo biodinamico, ma i preparati biodinamici non entrano in cantina.
Su nove referenze aziendali ce n’è una cui è più legato?
Sono più legato al vino Aquila del Torre che ha rotto lo schema sulla vinificazione delle uve di Picolit, cioè l’Oasi Bianco. Le uve non sono passite, la pressatura è soffice a grappolo intero, la fermentazione e l’affinamento sulle fecce fini è completamente svolta in carati di rovere. La produzione è iniziata nel 2010 e, probabilmente, terminerà quest’anno, ovvero nel momento in cui verrà riconosciuta la sottozona Savorgnano e il suo vino rappresentativo, cioè il Savorgnano Bianco. Posso dire che il nostro prossimo Savorgnano Bianco sarà sicuramente composto da vitigni autoctoni, tra cui il Picolit.

Ad Aquila del Torre si fa anche olio. Da quando e in che quantità?
Alcuni ulivi coltivati in azienda probabilmente sono più anziani delle nostre vigne risalenti agli anni ’60. Le varietà che caratterizzano il nostro olio evo sono le cultivar autoctone Savorgnana, Bianchera e Gorgazzo coltivate assieme ad altre varietà che presentano una medio-alta resistenza al freddo, quali Leccino, Frantoio e Pendolino; la produzione dell’olio però è molto altalenante negli anni, perciò la quantità prodotta è destinata al confezionamento di bottiglie di piccola capacità per gli ospiti che visitano la nostra cantina.
Fare biologico e biodinamico significa avere anche una visione prospettica. Che tipo di vigneti immagina di lasciare in eredità ai Suoi figli?
Alex Podolinsky insegna che la biodinamica crea salute, non cura le malattie. Perciò, bisogna lavorare prima di tutto su sé stessi, sulle proprie convinzioni e sviluppare l’attenzione necessaria al rispetto del terreno e alla sua fertilità. I preparati biodinamici riescono a rivitalizzare i suoli e a ristabilire l’interazione tra clima, suolo e pianta. Così i vigneti piantati sulle terrazze delle nostre colline sono destinati a essere coltivati e produttivi per i prossimi cinquant’anni come minimo. D’altronde, non avrebbe senso applicare metodi di agricoltura di altro tipo. La sfida è fare, quindi, meno errori possibili e lasciare che il potenziale di espressione di questo territorio si manifesti nella bottiglia. Proprio come si fa crescendo i propri figli, facendo in modo cioè che diventino indipendenti e consapevoli dei loro talenti.
Clara Ippolito
Credits Azienda Aquila del Torre