
In bilico tra tipicità piemontese ed esprit de cuisine francese, lo stellato Marc Lanteri ci racconta il suo rapporto con il Tartufo Bianco d’Alba, uno dei prodotti più ricercati e tipici del territorio in cui opera, il Piemonte. Il suo ristorante Al Castello non a caso è inscritto nell’imponente cornice del maniero medievale di Grinzane Cavour, dimora storica del celebre Conte Benso, statista e politico italiano, tra le figure di maggior spicco del nostro Risorgimento. Oggi sede dell’Enoteca Regionale Piemontese e dell’Asta Mondiale del Tartufo Bianco D’Alba, qui dal 2015 Marc officia il rito del gusto forte di una ricchezza di prodotti locali, di un’esperienza di lungo corso (maturata nelle migliori cucine di Francia e d’Italia) oltre che di un talento fuori del comune.
Il tartufo bianco è un prodotto fondamentale sia nella gastronomia francese sia in quella italiana: un ricordo legato a questo prezioso fungo ipogeo.
Il Tuber Magnatum Pico mi riporta al 1994, nello specifico allo chef stellato Ezio Santini, patron dell’Antica Osteria del Ponte.
Il primo piatto a base di tartufo bianco preparato non si scorda mai. Quando e dove.
Si trattava dei Tajarin ai Trenta Tuorli, Burro d’Alpeggio e Tartufo Bianco d’Alba preparato al ristorante Delle Antiche Contrade di Cuneo. Correva l’anno 1998. Proprio qui, nel 2004, mi fu assegnato il prestigioso riconoscimento della Guida Rossa che mi fece entrare nell’olimpo degli chef stellati Michelin.
Ti sei formato in grandi cucine, accanto a figure del calibro di Alain Ducasse e Paolo Teverini, due chef di spicco appartenenti all’alta cucina francese e italiana. Quali sono gli approcci d’autore in fatto di tartufo bianco Oltralpe e nel Bel Paese?
In Francia lo chef è più libero negli accostamenti degli ingredienti, nel senso che ci sono meno “regole” nell’abbinamento, cosa che permette la creazione di piatti di grande impatto e fantasia. In Italia trovo, invece, che è il palato dei clienti a imporre agli chef dei limiti legati alla tradizione. Ciò vuol dire che ci sono meno opportunità di connotare con la propria cifra stilistica una pietanza.

Dal 2015 sei in forze Al Castello, ristorante situato all’interno del maniero Grinzane di Cavour, ormai da anni al centro del panorama internazionale quale sede dell’Asta Mondiale del Tartufo Bianco d’Alba. Hai un menu dedicato?
Sì, il menu tematico si chiama “Omaggio al Tartufo Bianco d’Alba” e fa intraprendere all’ospite una sorta di viaggio che parte dall’antipasto, passa per un primo e approda a un secondo. Credo sia un’esperienza del gusto assolutamente da provare.

Con il tartufo bianco si possono fare anche dei dessert: qual è il tuo cavallo di battaglia?
Certo il Tuber Magnatum Pico si presta anche a essere usato nei dolci. Io apprezzo in particolar modo lo Zabaione al Marsala Secco con uovo biologico montato a mano, servito tiepido con delle lamelle di tartufo bianco d’Alba.
Nella tua cucina formi degli stagisti provenienti da tutto il mondo oltre che dalle migliori scuole d’arte culinaria italiane. Che cosa deve sapere un giovane appassionato di cucina in materia di tartufo bianco?
Ai miei stagisti cerco di insegnare innanzitutto come acquistare il Tartufo Bianco d’Alba dai trifolau e dai rivenditori in modo accorto e intelligente.
È fondamentale che un aspirante chef riesca a riconoscere il prodotto fresco e di buona qualità. Peraltro, io insegno loro sia come usare il taglia-tartufo correttamente – perché ne ricavino delle lamelle sottilissime e il massimo del profumo – sia i segreti per conservarlo al meglio.

Il tuo piatto del cuore a base di questo fungo ipogeo?
Adoro l’uovo biologico al tegamino con sopra una bella lamellata di tartufo bianco d’Alba, goduto dopo il servizio in compagnia di mia moglie Amy (Bellotti, che lo affianca nel lavoro, ndr) e di un bel bicchiere di Barolo.
Clara Ippolito
Credits: Davide Dutto
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